Il Natale in Umbria è un rito che si compie a tavola, in famiglia, per far sì che ogni gesto, ogni profumo diventi memoria, espressione di identità e appartenenza a un territorio.
La convivialità natalizia diventa in terra umbra un veicolo di coesione sociale e d’esaltazione della genuinità della tradizione contadina. Un incontro rituale capace di trasformare il cibo in racconto e il vino in testimonianza di valori.
Le ricette che compaiono sulle tavole umbre durante le feste sono sempre tradizionali. Ma guai a ridurre il concetto di tradizione all’idea di immobilità o di ostinato ancoraggio al passato. Qui parliamo di tradizione vera, viva, cosciente…
Una lunga stratificazione culturale, fatta di contaminazioni tra città e campagna, tra nobiltà e popolo. Un patrimonio che si arricchisce appunto grazie agli sforzi di custodi appassionati, ogni giorno impegnati nel proteggere e recuperare usanze tipiche o dimenticate, per resistere alla tentazione dell’omologazione del gusto.
Meglio riportare in vita, con rispetto e creatività, i piatti antichi del territorio, piuttosto che adattarsi passivamente a ciò che impone il mercato. In Umbria sanno come difendersi dal rischio della perdita dell’identità. Dunque, anche quei piatti che sembravano destinati all’oblio possono tornare protagonisti, rivisitati o fedelmente riproposti. E, insieme a loro, possono risorgere anche degli importarti vini che hanno rischiato di scomparire.
Portate e bottiglie diventano tasselli fondamentali di un mosaico che racconta la storia e la forza del territorio. Il pranzo di Natale in Umbria, ancora oggi, è qualcosa in più di un semplice momento di festa. Assomiglia quasi a un racconto corale, a un intreccio di spiritualità, memoria contadina e pura convivialità. I classici della tradizione, i prodotti del territorio e i vini locali sono protagonisti da nobilitare, risorse del patrimonio culturale da serbare. Ingredienti speciali, attraverso cui una cultura fiera e autentica continua a vivere e a rinnovarsi, anno dopo anno, proprio intorno a una tavola.
Dagli antipasti ai primi: crostini, galantina e cappelletti
La tradizione delle colline umbre vuole che il pranzo natalizio cominci sempre con i crostini: pane abbrustolito, spesso condito con paté di fegato di pollo o con un filo d’olio nuovo. Pane, dunque: l’alimento più semplice e apparentemente povero a disposizione per le famiglie; ma anche il ricco di significato ed evocativo. Ed è bello che un cibo così “solito” sappia trasformarsi in simbolo di memoria e comunità.
Accanto ai crostini arriva la galantina di pollo, e qui già sorge un contrasto, un piccolo cortocircuito. Se i crostini rimandano immediatamente alla tradizione contadina, la galantina porta con sé un’eco aristocratica. È una preparazione nobile, più elaborata, che richiede tempo e abilità: un pollo o un cappone disossato, farcito con carne macinata, prosciutto, uova, pistacchi, verdure e talvolta tartufo.
Una volta riempito, viene ricucito, avvolto e cotto lentamente, bollito in brodo secondo la maniera più antica. Dopo la cottura, si serve affettato e freddo, diventando una sorta di salume raffinato da affiancare ai più comuni insaccati.
Poi arriva il momento dei primi piatti. Quasi ogni casa umbra celebra il Natale con i cappelletti in brodo: pasta ripiena preparata a mano, simbolo di cura e rispetto. Il brodo è quello di cappone o di gallina vecchia, un dettaglio che un tempo indicava prosperità o dignità domestica. L’animale veniva allevato a lungo, proprio per essere sacrificato a Natale. Portarlo in tavola significava e significa ancora trasformare la quotidianità, fatta di lavoro e stenti, in festa.
Quanto ai secondi, la celebrazione deve continuare a esprimere il concetto di abbondanza. Sulle tavole della tradizione compaiono quindi l’agnello arrosto, l’oca al forno o il cappone in umido: piatti antichi che rendono la convivialità più solenne e ribadiscono il valore dell’evento come momento di condivisione e identità.
I crostini di fegatini: la tradizione contadina in apertura
Si comincia con gli antipasti, ovviamente. E, come abbiamo suggerito qualche rigo più su, la tradizione umbra vuole che a Natale si parta con crostini con paté di fegato di pollo, magari accompagnati da salumi locali come la corallina e il capocollo, e da formaggi di pecora.
L’odore stesso dei crostini è una dichiarazione d’intenti: è l’Umbria, con il suo carattere fieramente selvatico e la sua storia, a presentarsi attraverso la forma più semplice di trasformare il pane in cibo da festa.
Siamo di fronte a un piatto orgogliosamente povero, nato dall’ingegno delle famiglie rurali. Furono i contadini a trovare il modo di trasformare i fegatini di pollo in un paté intenso e saporito, da servire su pane abbrustolito. Ed è così che si comincia il pranzo, con un gusto deciso ma familiare.
L’abbinamento consigliato per tale antipasto è un bianco leggero ed equilibrato del territorio. Per esempio, il Bianco dei Neri, un vino aromatico e fresco prodotto dalle Cantine Neri, di certo capace di accompagnare il paté senza coprirne la delicatezza e preparando il palato alle portate successive.
Galantina di pollo e affettati locali
La galantina nasce verosimilmente nelle cucine nobiliari tra Settecento e Ottocento, quando la raffinatezza si misurava pure nella capacità di trasformare un animale da cortile in un piatto più elaborato e scenografico. Portarla sulle tavole umbre più comuni significava già al tempo appropriarsi di un linguaggio di prestigio e di adattarlo alle risorse locali e limitate. E lo si faceva a Natale, il giorno più importante dell’anno per la cultura contadina.
Oggi la galantina è soprattutto tradizione: un esempio perfetto di come un prodotto gastronomico abbia saputo rinnovare e arricchire il proprio valore e il proprio significato adattandosi al contesto familiare.
Poi, come rinunciare alla norcineria? Anche a Natale, sulle tavole imbandite per il pranzo in famiglia compaiono tutte le eccellenze del territorio: il prosciutto di Norcia, il salame corallina, il capocollo, la lonza e il ciauscolo. Spesso si affetta la salsiccia secca e si assaggiano altre specialità più particolari, come il mazzafegato o il cicotto di Grutti. Sono tutti salumi che raccontano la vita contadina delle colline umbre e la maestria artigianale della Regione.
Qui, l’abbinamento consigliato da Cantine Neri è il Ca’ Viti, un bianco strutturato ed elegante, che offre la giusta combinazione di corpo per sostenere di un piatto come la galantina e di acidità utile per contrastarne la grassezza.
Cappelletti in brodo di cappone: il piatto che unisce l'umbria
I cappelletti si portano in tavola in brodo fumante, sovente in grandi zuppiere da cui poi si serve tutta la famiglia. La presentazione è semplice, ma al tempo stesso ricca di significato. Il lavoro più impegnativo avviene prima della cottura, quando bisogna sporcarsi le mani di farina e tirare la pasta. Per il resto, basta affidarsi al calore del brodo e alla ricchezza del ripieno.
In molte case, la preparazione stessa è un rito familiare: si segue la ricetta della nonna e si lavora tutti assieme, con cura e dedizione. Perché si sta preparando un piatto che è il simbolo della festa e che ha il compito di riscaldare la famiglia.
Ai cappelletti in brodo umbri, per tradizione, si abbinano bianchi non troppo strutturati o rossi giovani e leggeri, come un Montefalco nelle sue versioni più fresche. L’abbinamento consigliato da Cantine Neri è il Rosso dei Neri: un rosso giovane e agile che offre la giusta combinazione di freschezza e tannini delicati, ottimo per contrastare la succulenza del brodo e bilanciare la ricchezza del ripieno.
I secondi piatti: trionfo di carni e arrosti aromatici
I vegetariani, nella Regione verde d’Italia, potrebbero sentirsi un po’ a disagio durante il periodo delle Feste. Il secondo piatto del pranzo di Natale umbro è infatti quasi sempre di carne. E non per caso: nella tradizione contadina e familiare, la carne ha rappresentato da sempre l’abbondanza, il lusso riservato alle grandi occasioni.
A Natale, dunque, la tavola si arricchisce di preparazioni importanti, di sostanza, legate al ciclo agricolo e allo sviluppo degli animali da cortile. Il secondo per eccellenza è il cappone, arrosto o ripieno. Spesso, però, si porta in tavola anche l’agnello arrosto. Non mancano famiglie che preferiscono l’oca, cucinata al forno, come piatto principale delle feste.
Tra le altre preparazioni comuni figurano la faraona e il pollo ruspante. In alcuni comuni più periferici, anche a Natale, si predilige la selvaggina, che aggiunge un tocco particolare alla tradizione.Tutte queste carni possono essere aromatizzate con aglio, finocchio selvatico e pepe. O impreziositi con il profumo del tartufo. Che più il piatto ricco e meglio si accorda allo spirito festivo.
Cappone arrosto o in umido: il cuore del pranzo
Il cappone è un pollo castrato, destinato all’ingrasso. Viene allevato a lungo, spesso proprio per finire a tavola a Natale. Quando è servito come secondo, non sempre si arricchisce con un ripieno di carne alla stregua del tacchino della tradizione americana: il più delle volte viene semplicemente arrostito. In alternativa, può essere preparato in umido.
Lo si accompagna con patate al forno e lo si condisce con erbe aromatiche tipiche umbre. Il rosmarino, la salvia, l’aglio, il pepe e talvolta pure il finocchio selvatico.
Per nobilitare questa pietanza si sceglie un rosso potente. Per esempio, il Montefalco Sagrantino, che si sposa perfettamente con l’agnello e con l’oca. Con il cappone in umido, invece, può essere interessante stappare l’Americo delle Cantine Neri: un Merlot in purezza, rotondo e strutturato, capace di esaltare la morbidezza del piatto. Per chi ama i bianchi, un Grechetto potrebbe rivelarsi una scelta sorprendere, grazie alla sua freschezza che bilancia la succulenza dell’arrosto.
Anatra in porchetta (la specialità umbra delle feste)
Un piatto che porta in tavola la classica e sempre gradita porchetta, ma rivisitata utilizzando la carne d’anatra, speziata e cotta lentamente, per ottenere un gusto deciso e assai particolare.
Si parte da un’anatra intera, disossata o meno, condita con un trito di erbe aromatiche tipiche di questa preparazione: finocchio selvatico, aglio, pepe e rosmarino. La carne deve essere ben massaggiata con queste spezie. In qualche caso, la si arricchisce con pancetta o lardo, per aumentarne la succosità. La cottura, come abbiamo detto, è lenta, e avviene in forno, in modo che la carne resti bella morbida e profumata, mentre la pelle diventi più croccante e saporita.
Questo particolare arrosto ha il merito di rappresentare i profumi del territorio e di tradurre il concetto di porchetta, che è un classico diffuso, da street-food, in tutto il Centro Italia, in un contesto nuovo. Le comunità umbre, in passato, hanno saputo adattare un modello culinario ben definito alle risorse disponibili e hanno dato vita a qualcosa di unico.
La Parmigiana di gobbi (cardi): il contorno che diventa protagonista
A questo punto, di solito, arriva in tavola uno di quei piatti che meglio rappresentano l’Umbria: la parmigiana di gobbi. Gobbi sta per cardi, ortaggi invernali oggi sempre meno diffusi e richiesti sul mercato, che richiedono una preparazione lunga e paziente.
Per essere usati in cucina vanno mondati, lessati e spesso fritti, per poi essere assemblati. Anche in Umbria il cardo è considerato un ortaggio povero. Ed è proprio per proprio per questo diventa un simbolo di trasformazione e di celebrazione di ciò che la terra offre.
Per rendere i cardi ingredienti degni di un piatto da festa, si procede secondo la logica della parmigiana di melanzane, il noto piatto della tradizione campana. Quindi si lavora con degli strati di gobbi fritti, poi conditi con sugo di pomodoro, besciamella o uova, e abbondante formaggio. Non per forza parmigiano: ci va bene pure il pecorino.
La cottura va fatta in forno per rendere il piatto opportunamente dorato e gratinato. Poi il profumo della preparazione invaderà tutta casa, facendo capire che è arrivato il momento del contorno. Un contorno di evidente ricchezza, specie se abbinato al giusto vino. Anche in questo caso la bottiglia adatta è l’Americo, con la sua giusta combinazione di corpo, morbidezza e intensità aromatica. Un rosso che riuscirà a sostenere senza affanno la succulenza e la ricchezza di tutti i secondi, contorni compresi.
Il gran finale: dolci speziati e vini passiti locali
Stavate aspettando il momento del dolce? Eccolo qui! Il gran finale del pranzo natalizio umbro è fatto di dolci speziati che rimandano a fatti antichissimi, agli avventurosi commerci medievali, che resero le spezie simboli di prestigio e di ricchezza.
Il panpepato o pampepato che dir si voglia è l’icona delle Feste. Questo dolce nato a Terni è un impasto ricco di cioccolato, miele, frutta secca, canditi e spezie. Soprattutto cannella, noce moscata e pepe, appunto.
L’altro dolce tipico è il torciglione, con le mandorle e lo zucchero. Nel Perugino si consumano invece dei dolcetti a base di pinoli chiamati pinoccate, che possono essere bianche, cioè alla vaniglia, o nere, e quindi al cioccolato. E poi ci sono i classici tozzetti, i biscotti secchi e rustici con mandorle o nocciole, in qualche caso arricchiti con canditi.
Con i tozzetti è d’obbligo bere del Vin Santo. Anche l’Umbria come la Toscana al suo Vin Santo… Con tutti gli altri dolcetti si tirano fuori i vini passiti. La dolcezza naturale di questi vini, più tannici o più delicati, è fatta apposta per esaltare la ricchezza della frutta secca e delle spezie.
Panpepato e torciglione: l'eredità di spezie e frutta secca
Il panpepato ha un fascino particolare perché trattiene in sé più anime. Questo dolcetto di carattere è fatto da ingredienti che arrivavano da lontano e da sapori e profumi apparentemente contraddittori. La frutta secca si abbandona al miele, al cacao e si lascia aromatizzare dalle spezie.
Il torciglione ha un carattere apparentemente più semplice. Ma guai a interpretarlo come un dolce qualsiasi. In Umbria, questo impasto di mandorle, zucchero e uova va modellato a forma di serpente. Ovvero l’animale che nel simbolismo popolare è il custode della casa, il pericolo che incute timore ma anche rispetto.
E trasformarlo in dolce natalizio significa tentare di addomesticare la paura, in un gesto rituale molto affascinante. Assomiglia quindi a un talismano. L’Abbinamento consigliato per questi due dolcetti così speciali è il Poggio Forno, l’Umbria IGT Muffa Nobile. Questo vino così speciale offre una perfetta corrispondenza aromatica con sia con il panpepato che con il Torciglione. La sua intensità e dolcezza elegante sono ideali per concludere il pasto con un abbraccio avvolgente che celebra i sapori del Natale umbro.


