L’Umbria serba un patrimonio vitivinicolo di grande valore e autenticità. Tra dolci colline, borghi medievali e ordinate campagne, si esprimono tradizioni millenarie. 

La vite era coltivata in Umbria già dagli Etruschi. E dopo tanti anni, i vitigni autoctoni della Regione raccontano ancora straordinarie storie di qualità, passione e identità. Esplorare i territori consacrati alla viticoltura significa dunque aprirsi a un’affascinante esperienza, a un viaggio fisico, storico e sensoriale dove il gusto incontra la cultura e la bellezza.

Cosa sono i vitigni autoctoni e perché esplorarli in Umbria

I vitigni autoctoni sono delle varietà di uva originarie di un territorio specifico, coltivate lì da secoli e quindi perfettamente adattate al clima e al suolo. In Umbria, tali vitigni non sono solo espressione agricola: sono preziosi protagonisti del paesaggio e testimoni della storia rurale e della biodiversità regionale. 

Avere l’opportunità di degustarli significa assaporare l’anima stessa di una terra che ha scelto di valorizzare la propria unicità, tenendosi alla larga dalle mode e dalla progressiva standardizzazione dei gusti imposta dalla globalizzazione.

C’è un evocativo passaggio della Divina Commedia che descrive perfettamente l’essenza del paesaggio umbro: “Fertile costa d’alto monte pende”. E la Regione umbra appare tutt’oggi, proprio come nel XIV secolo, un territorio incantato dove la montagna quieta le sue asperità nelle forme più delicate della collina e i boschi si addolciscono nelle linee composte di campi fecondi. Al di qua del confine orientale della Regione, segnato dalla catena appenninica, il fitto della selva si dirada interrotto da distese di armoniose coltivazioni. Orti, campi di cereali, uliveti e, soprattutto, vigne. 

Dai colli amerini alle campagne che circondano Assisi e Spoleto, dai colli orvietani a quelli del Trasimeno, il territorio umbro sembra il luogo ideale per lo sviluppo di vitigni di qualità.

Vitigni autoctoni umbri da conoscere e degustare

L’Umbria, pur avendo una forma abbastanza compatta, rivela una forte varietà altimetrica e climatica. E questo fa sì che i vitigni, anche se coltivati a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, possano dar forma a vini molto diversi.

Nella zona di Amelia, nella valle del Tevere, e a Narni si vendemmia il Ciliegiolo, un rosso fruttato e fresco, spesso vinificato in purezza. Salendo verso l’orvietano e nei dintorni di Allerona e Todi, il protagonista è il Grechetto, un bianco minerale e versatile. A Spoleto e Montefalco, il bianco più diffuso è il Trebbiano: un vino elegante e di spiccata acidità. 

A Montefalco e a Bevagna si producono anche degli ottimi rossi, con grande carattere, a base di Sagrantino, un tannico, che può essere vinificato anche passito. Sui colli del Trasimeno si diffondono vitigni minori ma dal grande potenziale, come il Gamay.

Sagrantino: il re di Montefalco

Tra vigneti piccoli e curatissimi, che ordinano il paesaggio, e cantine storiche, Montefalco e Bevagna sono luoghi storicamente legati al vitigno Sagrantino, un DOCG di origine dibattuta.

Alcuni lo ritengono autoctono o derivato dall’uva itriola citata da Plinio il Vecchio. Altri sostengono che quest’uva sia arrivata con i monaci bizantini nell’Alto Medioevo. Poi ci sono degli enologi convinti che l’origine del Sagrantino sia iberica e che il vitigno sia stato importato in Umbria dai monaci francescani solo nel XV secolo.

Ciò che è sicuro è che, in origine, era un vino da comunione: il nome stesso sembra rimandare appunto al concetto di sacrestia, il luogo dove si conserva il vino che si usa durante la messa. 

Oltre a essere stato utilizzato per fornire le chiese, il Sagrantino è stato per secoli coltivato per la produzione di vini passiti dolci. I contadini lasciavano appassire parzialmente le uve per ottenere un vino più denso e sciropposo, con note di uva passa e mirtillo. Solo negli anni '70 del Novecento i viticoltori hanno cominciato a produrre un rosso secco, con un'estrazione decisa e una fermentazione completa.

Quest’uva ha uno dei più alti livelli di tannicità al mondo. E dà forma a un vino scuro con un bouquet di frutti rossi, con sentori di prugna, cannella e terra.

Oggi, dal Sagrantino nascono i vini Montefalco Sagrantino e Montefalco Rosso. Il Montefalco Sagrantino, nel 1992, ha ottenuto lo status di DOCG, deve essere prodotto interamente da uve Sagrantino e richiede un invecchiamento minimo di trentasette mesi prima della commercializzazione (dodici dei quali devono trascorrere in botti di rovere). Il Montefalco è un rosso DOC a predominanza Sangiovese che richiede tra il 10 e il 25% della miscela di Sagrantino.

Grechetto: la freschezza di Orvieto

D’Annunzio chiamò il Grechetto “sole d’Italia in bottiglia”. Una citazione che ben descrive il colore dorato e il profumo ricco dell’Orvieto DOC prodotto con vitigno Grechetto. Orvieto, importante centro della Dodecapoli etrusca, era un po’ la capitale del vino dell’Antichità italica. 

Il vino veniva prodotto pigiando le uve in vasche di tufo e poi veniva lasciato fermentare nelle cantine scavate nella stessa pietra su cui oggi sorge il borgo. E i colli orvietani sono da secoli consacrati alla coltivazione di Grechetto… Un’uva antichissima. Probabilmente importata dalla Grecia tramite gli Etruschi.

Questo vitigno a bacca bianca è stato per anni sfruttato per creare un’ottima uva da taglio. Ma oggi è anche fiero protagonista di alcuni importanti vini monovarietali. Resta tuttavia un uvaggio versatile, che riesce a interagire bene se miscelato con uve Chardonnay, Malvasia, Trebbiano e Verdello.

Da quest’uva in purezza nascono vini dal colore giallo paglierino con dei riflessi verdognoli, dall’aroma delicatamente fruttato e di media acidità. Le uve attaccate dalla muffa nobile danno forma poi a un prodotto raffinato, dal sapore di nocciola: l’abboccato

Orvieto è un borgo pieno di antichissime cantine scavate nel tufo, e tanti produttori, come Cantine Neri, continuano a usarle per vinificare secondo un’attenta tradizione. I panorami malinconicamente affascinanti della campagna orvietana sembrano aver donato a quest’uva raffinatezza e levità.

La sua versatilità lo rende quindi ideale sia in purezza che in blend, come nel celebre Orvieto DOC, prodotto anche dalle Cantine Neri sotto il nome di Ca’ Viti, una bottiglia che nasce dai migliori grappoli di Grechetto e Trebbiano meticolosamente selezionati.

Trebbiano Spoletino: un bianco sorprendente

Spoleto e Trevi sono due città fondamentali per poter scoprire il Trebbiano. Nei dintorni è possibile sperimentare un percorso enologico molto suggestivo, dedicato a questa bacca bianca autoctona, registrata ufficialmente nel Catalogo nazionale varietà di vite fin dal 1970.

Anche in questo caso abbiamo a che fare con un vino già citato da Plinio nella sua Historia Naturalis. I Romani lo conoscevano come vinum Tribulanum, un vitigno dalle nobili origini ma dal sapore schietto.

Nel corso dei secoli, questo vino ha davvero rischiato l’estinzione. Per tradizione, le viti erano coltivate ad alberata, unite a piante di olmo o acero. L’antico metodo di coltivazione permetteva dunque alla vite di svilupparsi come un rampicante allontanandosi sia dall’umidità del terreno che dagli attacchi di animali e insetti.

Oggi, nei dintorni di Spoleto si coltiva con il tipico sistema di allevamento a tirelle, cioè tramite l’uso di fili tirati da pali disposti intorno alla pianta, un supporto che permette alla vite di crescere vigorosa. Fino a qualche anno fa erano diffuse anche coltivazioni “maritate”, con connessione elettiva all’acero campestre.

Il Trebbiano è un bianco di buona acidità ma soprattutto versatile. Ed è per questo che negli ultimi anni è esploso, dando vita a un’ampia gamma di interpretazioni. C’è chi recupera le vinificazioni tradizionali e chi sperimenta blend, macerazioni prolungate, spumantizzazioni con metodo charmat e trasformazioni in passito.

Ciliegiolo e altri vitigni minori: tesori nascosti

Il Ciliegiolo è un vitigno diffuso già dal tempo degli Etruschi nella bassa Toscana e nei territori più a Nord dell’Umbria. Il suo meglio però lo ha dato quando l’uva è riuscita a imporsi più a Sud, ai confini meridionali della Regione. Secondo gli storici, il Ciliegiolo è arrivato a Narni e a Sangemini solo intorno al XIII secolo, trasformandosi nella coltivazione dominante fra i poderi e le vigne. 

Il vitigno deve il suo nome al caratteristico aroma che richiama proprio la ciliegia e la frutta rossa. Agli inizi del ’900, veniva sfruttato solo nelle denominazioni più basse, soffrendo molto la concorrenza del più rinomato Sangiovese. Poi, a partire dagli anni ’70, alcuni produttori hanno cominciato a produrre vini in purezza, puntando sulla qualità e il carattere di un rosso fresco e succoso: un vino fruttato e genuino ma anche elegante.

Assisi, una città gioiello in senso artistico, spirituale e storico, dà il nome a un DOC prodotto in varie tipologie. C’è il rosso, il bianco, il rosato, il novello e il Grechetto, che proviene appunto dalle uve omonime.

Va segnalato anche il Trasimeno, un bianco secco DOC ideale da abbinare con i pesci di lago. Le acque del Trasimeno abbondano di carpe e anguille, lucci e persici: tutti pesci che richiedono la freschezza e la compostezza di un bianco elegante.

Della stessa zona è il Gamay, un rosso di stile francese. E poi c’è il Canaiolo Nero, un’altra varietà che merita attenzione per la sua originalità e il legame con il territorio.

Itinerario tra i vitigni autoctoni: tappe da non perdere

La prima tappa di un viaggio ideale attraverso le colline del vino umbro dovrebbe partire da Montefalco, la cosiddetta ringhiera dell’Umbria per il suo panorama mozzafiato. I colli dove nasce il Sagrantino sono dintorni amabili, dov’è possibile scoprire cantine eccellenti, che ancora seguono tecniche antiche e conservano botti che sembrano custodire segreti medievali.

Da Montefalco si prosegue lungo la Strada dei Vini del Cantico. Dalle colline di Todi, a sinistra del Tevere, fra vecchi conventi e palazzi gotici, ci si avvia verso le campagne di Spello e poi di Assisi, sul versante nord-occidentale del monte Subasio, dove i vitigni ospitano il Grechetto. Da lì, l’itinerario potrebbe seguire le vie che portano nel cuore della valle del Nestore, fuori dalle antiche mura di Perugia, dove si produce appunto il Colli Perugini DOC, un bianco di valore. 

A Sud di Terni, verso il confine con il Lazio, si trovano invece bellissime cantine e rigogliosi vitigni che producono il DOC Colli Amerini. Poi s’incontra l’antica Strada dei Vini Etrusco-Romana. A Orvieto, città scavata nel tufo, si producono tanti bianchi eleganti e minerali, spumanti e rossi schietti. Poi ci sono i vitigni consacrati al Trebbiano Spoletino, che sorprendono per i loro vini di grande versatilità e struttura. 

Il viaggio potrebbe finire all’ora del tramonto sul lago Trasimeno, per esempio alle cantine di Castiglione, che offrono degustazioni con vista sui battelli che solcano le acque del bacino d’acqua dolce.

Montefalco e Bevagna: la patria del Sagrantino

Per scoprire il Sagrantino, il rosso DOCG che si distingue come uno dei più strutturati e longevi d’Italia, si può seguire un itinerario che unisce arte, storia e degustazioni.

A Montefalco, dopo aver superato Porta San Francesco, ovvero l’ingresso al borgo, da cui si snoda il centro storico medievale, si potrebbe far visita alla vecchia chiesa di San Francesco, che è oggi un museo civico che custodisce degli affreschi di Benozzo Gozzoli e varie opere legate alla storia del Sagrantino.

Dalla piazza del Comune, fra i palazzi storici, le vinerie e i caffè, ci si può poi muovere verso belvedere di Porta della Rocca, da dove sarà possibile ammirare una bella vista sulla valle, spandendo lo sguardo da Spello fino a Spoleto. Per un’esperienza completa, sarebbe poi d’obbligo una visita a un’enoteca o a una cantina. Vi segnaliamo la Cantina Colle Mora, immersa tra le vigne e la Cantina Montioni, che è anche un frantoio. Fra le enoteche, c’è la Bottega del Bove, un piccolo negozio con ottima selezione di vini, salumi e formaggi locali e l’Enoteca Di Benozzo.

A Bevagna, bisogna fermarsi a piazza Silvestri, una delle più belle d’Italia, con il Palazzo dei Consoli e le affascinanti chiese romaniche.

Orvieto e il Grechetto: vini e storia tra le colline

La città di Orvieto trabocca di cantine da visitare per un’esperienza autentica e appagante. La campagna è ricca di storia, il paesaggio è sempre suggestivo e il vino che finisce nei calici riesce ogni volta a stupire.

La Cantina Decugnano dei Barbi, tra le colline tra Orvieto e il Lago di Corbara, offre un panorama stupendo e visite guidate nelle caratteristiche grotte tufacee per l’affinamento di vini eleganti e tradizionali.  Qui si vinifica il Grechetto sia in purezza che in blend con Orvieto Classico DOC. 

Più vicina al centro della città c’è la Cantina Madonna del Latte, una piccola realtà artigianale, che presta enorme attenzione al biologico e offre ai visitatori un’atmosfera intima.

E poi ci sono ovviamente le Cantine Neri, situate alle porte di Orvieto in località Bardano, che offrono un’esperienza enologica coinvolgente e suggestiva, ideale per chi cerca bottiglie di qualità e ha voglia di perdersi in un paesaggio dolce e incantato o nel contatto diretto con la storia del territorio.

La location di oltre 40 ettari di vigneti offre una bella vista su due valli e sulla rupe di Orvieto. Le cantine si trovano in grotte di tufo antichissime, un tempo utilizzate dai Templari, oggi adibite a barricaia e affinamento. Oltre al Grechetto, da Cantine Neri, bisogna assaggiare il Muffato Nobile, un vino da dessert apprezzato in tutto il mondo.

Spoleto e Trevi: alla scoperta del Trebbiano Spoletino

A Spoleto, bisogna far visita al Duomo di Santa Maria Assunta per ammirare gli affreschi del Pinturicchio. Conviene poi un giro alla Rocca Albornoziana e sul Ponte delle Torri, anche per godere della migliore vista sulla valle.

Trevi va scoperta nel suo centro storico arroccato e poi nei suoi incantevoli uliveti. Tra le cantine ideali da visitare ci sono quelle di Colle Uncinano a Spoleto, in località Uncinano, e poi Antonelli San Marco, una tenuta storica tra Spoleto e Trevi dove il Trebbiano Spoletino viene vinificato in acciaio e anfora.

Esperienze enoturistiche: degustazioni, visite e abbinamenti

Il vino, in Umbria, può essere apprezzato in ogni stagione. Chi vuole scoprire i vitigni autoctoni potrebbe per esempio scegliere di muoversi in primavera, per ammirare la fioritura e il risveglio della vigna, per passeggiare nella natura e fare visite in cantina, o a fine estate, per respirare la speciale atmosfera che precede la vendemmia.

Le vigne sono affascinanti anche con i colori dell’autunno. Mentre i borghi medievali diventano più suggestivi d’inverno, con il freddo e il camino acceso. Tutte le più importanti cantine del territorio oggi fanno anche turismo: accolgono gli appassionati di vino e i visitatori con tour guidati, picnic fra i filari, pranzi e cene, degustazioni, corsi enologici e persino sessioni di caccia al tartufo!

Nella zona di Orvieto, le cantine possono proporre anche le visite nelle grotte di tufo. Altrove, l’esperienza può includere passeggiate panoramiche, aperitivi deluxe, cene con abbinamenti locali, degustazioni al tramonto e light lunch con vista. Conviene poi capire come abbinare il vino alla cucina locale.

Il Trebbiano Spoletino, da scoprire nelle cantine, nelle enoteche e nei ristorantini di Spoleto e Trevi, che va assaggiato in abbinamento alla trota al cartoccio. Riesce a farsi apprezzare anche insieme alle lenticchie di Castelluccio e a vari formaggi freschi.

Il Grechetto e l’Orvieto Classico DOC sono più versatili. In zona li bevono da sempre per accompagnare le zuppe contadine, ma sono eccezionali anche in abbinamento ai formaggi pecorini umbri, alle fritture e ai piatti di pesce lacustre.

Il Sagrantino di Montefalco va invece apprezzato in abbinamento con la cacciagione, con i prodotti classici della norcineria umbra e con piatti a base di tartufo nero.

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