Non hanno un odore immediatamente riconoscibile né un gusto netto, eppure i tannini si fanno sentire chiaramente durante una degustazione.
La loro presenza si rivela, in bocca, attraverso una particolare sensazione tattile e poi, al palato, con un retrogusto distintivo. I tannini conferiscono al vino alcune caratteristiche fondamentali. Come composti chimici di natura eterogenea e presenti in percentuali variabili in ogni tipo di vino, determinano interessanti effetti a livello palatale e gengivale durante l’assaggio. Ma non è tutto…
I tannini influenzano anche il colore del vino rosso. Sono importanti per supportare la capacità di invecchiamento e per la definizione della consistenza e della complessità del gusto finale del prodotto. Si esprimono attraverso una percezione di astringenza e un lieve accento di amarezza, effetti legati alla loro capacità di legarsi alle proteine, comprese quelle presenti nella saliva.
Cosa sono i tannini?
Dal punto di vista chimico, i tannini appartengono a una categoria di biomolecole polifenoliche e ad altri composti organici come amminoacidi e alcaloidi. I polifenoli sono macromolecole costituite da fenoli, ovvero strutture complesse basate su legami tra atomi di ossigeno e idrogeno.
Si tratta di composti ampiamente presenti nel regno vegetale: si trovano nei semi, nella corteccia, nel legno e nelle foglie di molte piante, e spesso anche nella buccia dei frutti. La loro funzione principale, in natura, è quella di proteggere i vegetali da parassiti, batteri, insetti e animali erbivori. In pratica, grazie al loro sapore amaro e alla capacità di legarsi alle proteine, queste biomolecole rendono i tessuti vegetali meno appetibili per i possibili predatori.
Le bevande più ricche di tannini sono il caffè e il tè. Ma tali composti riescono a giocare un ruolo chiave anche nella costruzione sensoriale del vino. Sono particolarmente presenti nei vini rossi. Ma anche alcuni vini bianchi possono contenerne piccole quantità, soprattutto se affinati in botti di legno o fermentati sulle bucce.
L'origine dei tannini
Il termine "tannino" deriva dal verbo latino medievale tannare, che va tradotto come “conciare”. Il riferimento è all'antico e diffuso uso della corteccia per trattare le pelli e trasformarle in tessuti indossabili. Infatti, i tannini rivelano interessanti proprietà concianti per le pelli animali: reagiscono col collagene e con le altre proteine rendendo la pelle non putrescibile
Nel caso della vite, i tannini si trovano principalmente nella buccia dell’acino, nei semi (i vinaccioli) e nei gambi che sostengono i raspi. Ma il legno è comunque coinvolto, dato che, durante l’affinamento, capita spesso che il vino si arricchisca di tannini tramite il contatto con le botti di rovere. Durante la maturazione il legno cede alla bevanda una buona dose di sostanze polifenoliche presenti nella sua fibra.
La maggior parte dei tannini del vino proviene però dalle bucce. E non dalla polpa. Per questo motivo, durante la vinificazione è fondamentale estrarre il colore e le sostanze tanniche contenute nella buccia. Dopo la vendemmia, l’uva viene pigiata, e gli acini vanno immersi nel mosto in un processo chiamato macerazione. In particolare, nella macerazione a freddo, gli acini vengono mantenuti a una temperatura inferiore ai 10 °C per un certo periodo, proprio con l’obiettivo di intensificare la pigmentazione senza avviare la fermentazione.
Quando si lavora con uve dalla buccia particolarmente spessa, l’estrazione richiede più tempo e maggiore attenzione, e questo perché i composti desiderati non si rilasciano facilmente.
Anche i raspi possono conferire al vino importante carattere tannico. Ma bisogna far attenzione che la vite sia abbastanza matura, per non rischiare di produrre un vino eccessivamente aspro.
La chimica dei tannini
Non tutti i tannini sono uguali. In certi vini, i tannini appaiono piuttosto invadenti: tendono a estendersi e amplificarsi sul palato, lasciando in bocca una sensazione forte o quasi sgradevole. Altri vini presentano tannini invece più sottili e pungenti, più equilibrati o sofisticati. Alcuni vengono definiti come secchi, altri più amari. E poi ci sono poi i tannini più dolci e quelli dalle sfumature più aspre e aggressive.
Tali differenze derivano dal fatto che nel vino si possono distinguere due categorie di tannini. I tannini idrolizzabili (cioè resistenti all’acqua) e quelli condensati. Gli idrolizzati sono i composti più semplici, che derivano da molecole di glucosio legate ad acidi fenolici. Sono più solubili e spesso presenti in legni come il castagno o il rovere.
I tannini condensati sono invece dei composti chimici più complessi… e sono quelli presenti nell’uva e nei vinaccioli. Tali molecole reagiscono a livello chimico con la saliva, precipitando le proteine e producendo quella tipica sensazione di secchezza in bocca che gli esperti definiscono astringenza. I tannini dell'uva nascono sempre come singoli flavonoidi, ma si legano rapidamente tra loro (in termini tecnici: si polimerizzano) per formare delle catene di macromolecole composte da due o più (fino a trenta) elementi
Le molecole di antocianina, quella che danno colore al vino rosso, si trovano in genere alle estremità della catena. Gli altri composti polifenolici sono concentrati nella parte centrale… Ed è importante studiare approfonditamente tali catene. Non solo per capire in che modo evolvono e si sviluppano anche dopo l’imbottigliamento, cambiando la struttura e la qualità del vino, ma anche per studiarne gli effetti primari e secondari sul corpo umano.
Si sente per esempio spesso dire che i tannini possano essere dannosi. E che possano causare emicrania. Secondo vari recenti studi, è probabile che i tannini del vino facciano bene alla salute! Alcune ricerche hanno per esempio mostrato che il tannino del vino resiste all'ossidazione (mentre quello del tè no). In altre parole, i tannini del vino possono essere considerati degli antiossidanti.
Quanto al mal di testa… è bene sapere che il vino contiene molti meno tannini del tè, del succo di mela, della frutta secca, del cioccolato, dei legumi e della birra. Quindi, chi ha paura di poter favorire l’emicrania assumendo tannini dovrebbe innanzitutto preoccuparsi di eliminare dalla propria dieta tutti questi altri alimenti e bevande.
Tannini "nobili" e tannini "aggressivi"
I tannini del vino non si distinguono solo a livello chimico. Una differenza fondamentale dipende anche da come vengono percepiti sensorialmente. E ciò dipende dall’origine dell’uva, dalla vinificazione e dal tempo di maturazione
I tannini definiti come “nobili” sono quei composti che si sviluppano in modo equilibrato e vengono percepiti come morbidi, quindi ben integrati nel gusto e nella struttura complessiva del vino. Di norma, provengono da uve mature lavorate con una certa cura. Oppure da botti pregiate di rovere, ben tostate e stagionate.
I tannini “aggressivi” sono quelli che appaiono più sgradevoli o comunque più duri, secchi o spigolosi al palato. Sono caratteristici delle uve acerbe, dei processi in cui l’estrazione è stata eccessiva durante la macerazione o di maturazione in legni non adeguatamente lavorati.
Con il tempo, i tannini subiscono quasi sempre un affinamento naturale. Dipende dai già citati processi di polimerizzazione. Anche dei tannini aggressivi, in pratica, possono diventare più stabili e meno percepibili.
Il ruolo dei tannini nel processo di vinificazione
Lo stile di vinificazione influenza notevolmente la quantità di tannini in un vino. In genere, i vini più commerciali sono volutamente creati per avere tannini più rotondi e morbidi. Tecnicamente, si parla di “estrazione”: i composti non sono già disciolti nel succo d’uva, ma si trovano nelle parti solide dell’acino (in particolare, come abbiamo già spiegato, nella buccia, nei semi e nei raspi). E perciò, per farli passare dal frutto al vino, bisogna tirarli fuori.
Dunque, si parla di macerazione breve quando si vuole ottenere un vino più morbido e fresco (con meno tannini) e di macerazione lunga, per ottenere vini più strutturati e longevi.
L’estrazione è influenzata anche dalla temperatura e dal modo in cui si gestisce il mosto (per esempio con i rimontaggi e le follature). E poi dalla maturazione. Quando dopo la fermentazione il vino riposa nelle botti, il legno (specie quello di rovere) rilascia altri tannini che contribuiscono a raffinarne il gusto.
L'estrazione dei tannini
L’estrazione dei composti avviene durante la fermentazione alcolica, ovvero quando il mosto si trasforma in vino. Ogni viticoltore decide quanto e come far macerare le bucce col succo. Più a lungo le lascia insieme, più tannini si estraggono.
Dunque, si parla di macerazione breve quando si vuole ottenere un vino più morbido e fresco (con meno tannini) e di macerazione lunga, per ottenere vini più strutturati e longevi.
Nel caso dei vini rossi, l’estrazione dei tannini avviene principalmente durante la macerazione, cioè quando le bucce, i vinaccioli e i raspi restano a contatto con il mosto. Nei vini bianchi, invece, tale contatto è ridotto, ed è per questo che i tannini, di norma, sono meno presenti.
L’estrazione è fondamentale affinché i tannini riescano a dare struttura alla bevanda, aggiungendo poi un carattere che si esprimerà meglio nel tempo. Lo stesso vale per la propensione all’invecchiamento. Un vino ricco di tannini ben gestiti può infatti durare molti anni in bottiglia.
L’estrazione è influenzata anche dalla temperatura e dal modo in cui si gestisce il mosto (per esempio con i rimontaggi e le follature). E poi dall’affinamento. Quando, dopo la fermentazione, il vino riposa nelle botti, il legno (specie quello di rovere) rilascia altri tannini che contribuiscono a raffinarne il gusto.
L'affinamento e i tannini
Per capire cosa succede di preciso ai tannini durante l’affinamento, bisogna di nuovo chiamare in causa la polimerizzazione. Riposando, i tannini si uniscono, formando molecole più grandi e più stabili. E quei tannini che sarebbero stati più astringenti (quelli cioè che prima avrebbero asciugato la bocca in modo abbastanza netto) potrebbero poi risultare più vellutati.
Con l’affinamento avviene quindi una vera e propria evoluzione del gusto. I tannini, complicandosi e associandosi, renderanno il vino più rotondo, dando origine a una trama gustativa più fine.
Ma c’è ovviamente differenza se il vino è affinato in legno o in bottiglia… Nelle botti di rovere, nascono addirittura nuovi tannini (quelli rilasciati dal legno, diversi da quelli dell’uva). E grazie alla micro-ossigenazione lenta, i tannini maturano meglio. Quando il vino affina in bottiglia, i tannini continuano lo stesso a evolversi ma lo fanno più lentamente e con effetti più lievi.
Tannini e longevità del vino
Per il vino i tannini sono anche agenti di protezione. Essendo degli antiossidanti, queste molecole aiutano infatti il prodotto a resistere all’ossigeno e, quindi, all’invecchiamento. Inoltre, grazie al contributo dei tannini, il vino, col passare del tempo, migliora.
Dipende principalmente dal fatto che i tannini cambiano struttura, facendosi via via più morbidi e armoniosi attraverso il processo di polimerizzazione. I vini più longevi sono quelli con un’accentuata presenza di tannini maturi e con buona acidità. Oppure quelli con una struttura importante.
Un caso emblematico è quello del Barolo. Nei primi anni, i tannini di questo vino possono risultare duri, assai secchi. Solo con il tempo, proprio con l’affinamento e l’invecchiamento, i tannini del Barolo si ammorbidiscono: diventano vellutati, integrandosi perfettamente con gli aromi terziari (cuoio, tabacco, sottobosco…). Ed ecco perché annate particolari del Barolo (come quella 2001) sono vendute all’asta a cifre spaventose: fino a 3.000 euro a bottiglia.
Un altro vino molto tannico è il Sagrantino, apprezzato proprio per il suo alto contenuto di questi composti. Le Cantine Neri offrono invece rossi con tannini ben integrati e mai invadenti, come nel caso del Rosso dei Neri, un vino a base di Merlot (con uve Cabernet Sauvignon, Montepulciano e Sangiovese), morbido, con una buona presenza tannica, ma non troppo aggressivo. L’Americo, sempre da uve Merlot, ha i tannini un po’ più decisi, ma ancora ben bilanciati da una buona maturazione e da un affinamento di qualità (in botti di rovere francese).
Come percepire e apprezzare i tannini durante la degustazione
Ricapitolando: i tannini non si “sentono” come un sapore. Non daranno mai espressione di dolcezza o sapidità… Piuttosto, si percepiscono sulla lingua e in bocca. Il modo migliore per capirlo è provarlo.
La prossima volta che berrete un sorso di vino rosso, provate a trattenerlo un paio di secondi in bocca prima di mandarlo giù. E fate caso a cosa succede intorno alle gengive e sulla lingua. Percepirete il fenomeno dell’astringenza. O un sentore leggermente amaro…
La sensazione di astringenza
Il tannino nel vino conferisce appunto soprattutto astringenza, ma anche una nota di amarezza, oltre che complessità. L’astringenza è quell’effetto di secchezza o di lieve ruvidità che si percepisce in bocca durante l’assaggio di particolari sostanze. Può essere un effetto più leggero, quasi una piacevole tensione, che dà una sensazione di pulizia alla lingua e invoglia a bere ancora.
Quando l’astringenza è più marcata ma fine, significa che il vino ha struttura e carattere. Quando invece l’astringenza è aggressiva e viene spontaneo serrare le labbra e cercare dell’acqua per inumidirsi le pareti interne della bocca e rinfrescare le papille gustative, il vino potrebbe essere troppo giovane, squilibrato o di cattiva qualità.
I vini migliori sono quelli che hanno tannini gentili e vellutati. E sarà un po’ più complicato percepirli: sono accenti sottili e armoniosi.
L'interazione con il cibo: abbinamenti per esaltare o smorzare i tannini
L'astringenza dei tannini si sposa perfettamente con i cibi ricchi e grassi. Le molecole di tannino si legano infatti bene alle proteine e ad altri composti organici presenti in alcuni cibi, rimuovendoli dalla lingua. In questo modo, ogni nuovo boccone offrirà una sensazione appagante e completa in termini di sapore.
Per esempio, il tannino riesce a interagire benissimo con le proteine della carne. Quindi, con una bistecca, un bicchiere di vino rosso dai tannini pronunciati renderà il pasto esaltante. Ogni assaggio risulterà pulito, saporito e non particolarmente grasso.
Ma l’effetto è biunivoco. Il cibo può infatti domare o esaltare i tannini. La carne rossa attenua l’astringenza del vino. E i tannini riescono a far crescere il gusto della carne sulla lingua e sul palato. I piatti più cremosi, con burro o formaggio, rendono i tannini più gestibili e meno pronunciati. Meglio invece non provare il connubio cibo piccante e tannini, o cibi acidi e vino rosso tannico.